Il preoccupante sviluppo (per estensione e intensità) di conflitti vecchi e nuovi è ormai arrivato
a toccare, insieme alle nostre coscienze, i confini della nostra Europa, consegnandoci una
prospettiva di rottura con l’atteggiamento indifferente di chi considerava la guerra un fatto
lontano, un problema di altri.
Dall’altra parte del Mediterraneo il conflitto israelo-palestinese ha messo in luce una ferocia
senza precedenti verso bambini e bambine, operatrici e operatori sanitari, giornaliste e
giornalisti, personale dell’ONU, unica organizzazione legittimata a applicare il diritto per la
soluzione dei conflitti tra le nazioni.
A est l’aggressione dell’Ucraina va avanti da più di 2 anni, causando centinaia di migliaia di
vittime e trasformandosi, sempre più chiaramente, in guerra per procura tra le potenze
occidentali e la Federazione russa, i cui pronunciamenti pubblici e privati, dall’una e dall’altra
parte, fanno da tempo riferimento a un possibile impiego di ordigni nucleari.
E non va certo meglio nelle “vecchie” zone di guerra, quali la Siria e il Congo, dove almeno
una decina di milioni di vittime non bastano a far retrocedere le potenze straniere che
alimentano quei conflitti dalla mera difesa dei propri interessi economici.
Ne è conseguita una scandalosa crescita delle spese militari che già nel 2022 ha raggiunto i
2.240 miliardi di dollari con il massimo aumento percentuale, pari al 13%, in Europa (Rapporto
del SIPRI, 2023). Nel nostro Paese quest’anno si prevede di raggiungere i 28 miliardi, con un
aumento del 5,5% e, proprio in questi giorni, il Senato ha approvato una modifica peggiorativa
della storica legge 185/90 che aveva fissato dei paletti all’esportazione di armi in zone di
guerra.
Sembra ormai che il Diritto internazionale non conti più niente, che i conflitti si debbano
risolvere soltanto con la forza e che quindi sia un dovere sostenere la propria “squadra”, nel
nostro caso la NATO, fino all’accettazione di una guerra mondiale.
Inascoltate o criticate sempre più apertamente sono le parole degli ultimi autorevoli difensori
della pace, quali il segretario dell’ONU Antonio Guterres e papa Francesco, sempre più
censurate dai media “mainstream” sono le manifestazioni per il cessate il fuoco che da tempo
si susseguono nelle piazze di tutte le città del mondo.
Tutto questo interpella la Scuola, da sempre portatrice di valori e maestra di vita, e le chiede
di sottolineare nei propri insegnamenti i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo e della Costituzione (in particolare l’art. 11).
Alla luce di quei principi, la Scuola dovrebbe sostenere realmente il ripudio della guerra,
presentarla come “una sconfitta per tutti, un crimine contro l’Umanità” (papa Francesco) e, di
fronte al pericolo sempre più incombente di un olocausto nucleare, dovrebbe sostenere il
dovere di opporvisi, arrivando se necessario fino all’obiezione di coscienza, difesa da maestri
come don Milani che scriveva: “l’uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far
male e si pentiva. L’aviere dell’era atomica riempie il serbatoio dell’apparecchio che poco dopo
disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi
tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era
irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore.
C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai
giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più
subdola delle tentazioni”.
Proponiamo dunque che la Scuola divenga protagonista dell’educazione alla pace, che apra
le porte alle organizzazioni che si impegnano quotidianamente per la nonviolenza, che gliincontri per l’Orientamento in uscita non mostrino soltanto le carriere militari, ma anche quelle
che, dal servizio Civile Universale, portano a lavorare nel Terzo settore.
Ricordando infine le parole di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari “Gli
operatori di pace si sforzano poi di creare legami, di stabilire rapporti fra le persone,
appianando tensioni, smontando lo stato di guerra fredda che incontrano in tanti ambienti di
famiglia, di lavoro, di scuola, di sport, fra le nazioni” rilanciamo la sua proposta “Time out, un
minuto per la pace” chiedendo agli insegnanti che lo vogliono, con l’accordo della Direzione
Scolastica, di proporre alle proprie classi, quotidianamente, per esempio alle 12,00, un
momento di raccoglimento collettivo contro la disumanità e l’indifferenza, un minuto di silenzio
per tutte le vittime delle guerre – civili e militari – che faccia crescere il senso di responsabilità,
il desiderio di partecipazione attiva contro ogni violenza e ogni guerra, la convinzione che,
“l’unica vera guerra è quella contro l’ignoranza” (Karl Popper).
Il Tavolo per la pace di Viterbo